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Famiglia Cervi lotta per la libertà

cervi 1"Mi hanno sempre detto… tu sei una quercia che ha cresciuto sette rami, e quelli sono stati falciati, e la quercia non è morta… la figura è bella e qualche volta piango… ma guardate il seme, perché la quercia morirà, e non sarà buona nemmeno per il fuoco. Se volete capire la mia famiglia, guardate il seme. Il nostro seme è l'ideale nella testa dell'uomo.”.

(Alcide Cervi)

Nato il 6 maggio del 1875 a Campegine, vicino a Reggio Emilia, Alcide Cervi era il figlio più piccolo di Agostino, contadino che, nel 1869, aveva partecipato alla rivolta contro la tassa sul macinato, e di sua moglie Virginia, giovane vicina di casa della famiglia Cervi.

Giovanissimo, nel 1899 Alcide sposò Genoeffa Cocconi, che gli diede in pochissimi anni ben sette figli maschi e due femmine.

Il maggiore dei sette fratelli, Gelindo, era nato nel 1901, mentre il più piccolo Ettore nel 1921, un anno dopo che la famiglia aveva comprato un podere presso Olmo di Gattalico, a pochi chilometri dalla casa di Agostino e Virginia.

Nel 1925, dopo molti sacrifici, i Cervi si trasferirono in un terreno presso la tenuta di Valle Re, della contessa Levi Sottocasa, ma nel 1934 presero la decisione definitiva di trasferirsi in un podere dei Campi Rossi, vicini a Gattalico, passando dall’essere dei semplici mezzadri allo status di affittuari.

Da sempre nella famiglia la personalità più forte fu quella della madre Genoeffa, che spinse i sette fratelli a studiare e imparare le tecniche di coltivazione del suolo più all’avanguardia in quegli anni difficili, con il mondo nella morsa della Grande Depressione e l’Italia al centro della politica agraria di Benito Mussolini, culminata nella battaglia del grano del 1927.

In poco tempo la maggior parte dei fratelli iniziò a seguire corsi di formazione professionale, mentre nel 1939 fu comprato il primo trattore Balilla, come simbolo di una nuova e più moderna azienda agricola.

Ma i Cervi non poterono godersi a lungo la loro nuova vita, infatti nel 1940 l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale come alleata della Germania e questo i sette fratelli, schierati da sempre contro il fascismo, non potevano tollerarlo.

Subito la casa dei Cervi divenne un covo di resistenza antifascista e nel 1943, dopo l’armistizio, vi arrivò Dante “Facio” Castellucci, uno dei capi partigiani più carismatici dell’Emilia Romagna.

Con il supporto di alcuni prigionieri russi, i sette fratelli e il padre fondarono la Banda Cervi, che con agguati, saccheggi e imboscate tennero in scacco i fascisti locali per mesi.

Nella notte del 25 novembre del 1943, durante un rastrellamento, i Cervi vennero arrestati e condotti presso il carcere di Parma, dove vennero torturati a lungo ma senza alcun risultato.

Tutti i tentativi di liberazione furono inutili e il 28 dicembre del 1943, come rappresaglia per l’uccisione del segretario comunale di Bagnolo in Piano Davide Onfiani, i fratelli con un prigioniero partigiano furono fucilati nel poligono di Reggio Emilia.

Ma la tragedia della famiglia Cervi non era ancora terminata, infatti, dopo essere fuggito dal carcere di San Tommaso a Reggio Emilia e aver appreso la morte dei suoi figli, Alcide dovette assistere alla morte della moglie, che non resse allo shock della terribile notizia.

Grazie al sostegno delle due figlie e dei nipoti, Alcide Cervi continuò nel secondo dopoguerra a raccontare alle giovani generazioni la storia della sua famiglia fino alla morte, avvenuta il 27 marzo del 1970, mentre oggi la casa di Gattatico è il Museo Cervi, dedicato alla storia dei coraggiosi fratelli. 

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