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I tre martiri della Resistenza di Rimini

piazza tre martiri 1“Cara mamma, l’ultimo piacere che io ti domando, non piangere tanto, la mia fine è arrivata ma sempre pieno di coraggio e di fede io muoio ma da uomo”.

(Adelio Pagliarani)

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, anche la riviera romagnola, come la maggior parte della città del Nord Italia, vide la nascita di alcuni piccoli gruppi di coraggiosi partigiani decisi a scacciare dalla loro città i fascisti che si erano alleati con le truppe tedesche.

Tra queste colonie partigiane a Rimini spiccava la brigata Gabriele Sozzi, che si distingueva per gli atti di sabotaggio volti a colpire i contadini alleati con il nemico.

Nella brigata c’erano tre giovanissimi studenti riminesi, Mario Capelli, Adelio Pagliarani e Luigi Nicolò, da sempre fieri avversari dell’ideologia fascista e di tutto quello che la rappresentava.

Intanto la situazione di Rimini diventava sempre più difficile di giorno in giorno, tanto che nel luglio del 1944 il Cin avvisò con un comunicato che i contadini non dovevano trebbiare il grano per evitare ai tedeschi di portarlo in Germania.

Solo un mese dopo, il 12 agosto, la polizia locale venne informata che un gruppo di partigiani aveva incendiato una trebbiatrice di un contadino alleato ai tedeschi per evitare che il suo grano fosse consegnato alle truppe nemiche.

Poche ore dopo venne arrestato un gappista, il barbiere Leone Celli, che confessò, sotto tortura, ai fascisti il suo ruolo nell’attentato e dove trovare i ragazzi della Gabriele Sozzi, che si riunivano nell’ex caserma Ducale, presso il ponte di Tiberio.

Il giorno dopo i fascisti catturarono Capelli, Pagliarani e Nicolò presso la caserma, e li condussero nell’ex caserma dei Carabinieri, nel convento delle Grazie.

Da subito i due preti che vivevano nel convento, padre Amedeo Carpani e padre Callisto Ciavatti, cercarono di convincere Paolo Tacchi, capo dei fascisti, a risparmiare la vita ai tre giovani, ma i loro tentativi furono del tutto inutili.

Il 14 agosto, dopo un breve processo, i tre ragazzi vennero condannati a morte e la condanna fu eseguita il 16 agosto in piazza Giulio Cesare, alla presenza delle truppe locali e di padre Teodoro Lombardi, oltre che dei partigiani Libero Angeli e Augusto Cavalli.

Poco tempo dopo, Tacchi dovette fuggire da Rimini che era stata appena liberata dagli alleati, per poi nel secondo dopoguerra essere condannato a morte per l’uccisione dei tre partigiani, ma il verdetto venne ribaltato in Cassazione e l’ex fascista morì a Senigallia nel 1971.

Alla memoria dei tre giovani partigiani Rimini ha rintitolato piazza Giulio Cesare come piazza dei Tre Martiri, mentre al numero 5 di via Ducale una lapide ricorda dove si trovava la base partigiana sede della cattura dei tre ragazzi.  

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