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Natale in Emilia Romagna

natale romagna 1Anche in Emilia Romagna, tra le colline e il mare, ci sono tanti piccoli riti natalizi che vengono ripetuti ancora oggi, spesso grazie ai nonni che tengono ancora vive queste piccole tradizioni.

Dopo essere tornati dalla Messa di mezzanotte, la sera della vigilia di Natale si beveva il vin brulè che dalla mattina bolliva in vari pentoloni di terracotta ricoperti da carta paglierina in modo da non disperderne gli aromi, mentre il ceppo di Natale, che era stato benedetto dal parroco durante la Messa della Vigilia, doveva bruciare molto lentamente per arrivare ancora acceso a Capodanno o fino alla notte della vigilia dell’Epifania.

Vicino al focolare, per la vigilia, erano collocate alcune sedie addobbate con scialli e coperte, con lo scopo di aiutare la sacra famiglia che, in quella notte santa, avrebbe visitato tutte le case, mentre i ragazzi preparavano il presepe.

Per i buoni auspici dell’anno nuovo si soleva giocare a carte, mentre l’azdora frugava con i ferri nella brace facendo spruzzare faville da cui si traevano altre predizioni.

Anche il tempo era importante, se la notte era serena, ci sarebbe stato un buon raccolto di grano, mentre se c’era vento significava un’annata segnata da carestia e terremoti.

Sono curiosi i proverbi legati al Natale in Romagna, ad esempio “Chi non digiuna alla vigilia di Natale, corpo al lupo, anima al cane” ricordava che si doveva digiunare alla vigilia, mentre “Chi n’arnova la camisa e dè ad nadel e mor in tun fos cum’ è un animel” cioè “Chi non rinnova la camicia il giorno di Natale, muore in un fosso come un animale” rammentava il fatto che a Natale si doveva indossare qualcosa di nuovo e “Par nadél, un terz à bù e un mez magnè” cioè “Per Natale, un terzo di vino bevuto, la metà del grano mangiato” era l’augurio tradizionale del capofamiglia il giorno di Natale dopo aver mangiato i cappelletti che si preparavano il giorno prima.

Nella notte dell’ Epifania, tra il 5 e il 6 gennaio, arrivavano in Romagna vari gruppi di suonatori ambulanti, con uno sfiatato organino o un violino fatto in casa, che passavano di casa in casa per cantare la pasquella, cioè il benvenuto, assieme ai re Magi, per la nascita del Messia con strofe come “In questa casa c’è una sposa / bianca e rossa come una rosa / cla vu fe un bel babin/ bianch e ros e rizulen,/ e su fus na bambinèla,/ viva viva la pasquela” cioè “… che ha fatto un bel bambino bianco e rosso e ricciolino, e se fosse una bambinella, viva viva la pasquella”.

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